DAL IL FATTO QUOTIDIANO del 05 Maggio 2019, pag. 13
di Luigi de Magistris
Paolo Borsellino, pochi giorni dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D ‘Amelio, in cui perse la vita, disse in un dibattito a Palermo che i responsabili della morte di Giovanni Falcone andavano individuati anche all’interno della magistratura.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, e anche altri magistrati, si sono resi responsabili di pagine indegne che portarono all’isolamento di due magistrati simboli nella lotta alla mafia. Ho fatto il pubblico ministero per 15 anni e provengo da quattro generazioni di magistrati, ho saputo di fatti gravi, ma quello che ho visto con i miei occhi fa accapponare la pelle.
Quando da pm di Catanzaro individuai un sistema criminale pervasivo fatto di commistioni tra criminalità organizzata di tipo mafioso, politici di tutto l’arco costituzionale, affaristi, professionisti, appartenenti a organi di controllo, uomini delle forze di polizia, dei servizi segreti, e numerosi magistrati, tutti uniti dal collante dei poteri occulti delle massonerie deviate, non venni fermato dalla ‘ndrangheta con la coppola e lupara, ma dalla legalità formale del sistema criminale fattosi Stato.
Le inchieste mi furono sottratte dai miei capi che mi dovevano tutelare e invece colludevano tradendo me e, quindi, lo Stato. Il mio trasferimento dalla Calabria per incompatibilità ambientale e lo strappo delle funzioni di pm li decise il Csm all’unanimità, presidente Napolitano, vicepresidente Mancino (poi imputato nel processo nella trattativa tra Stato e Cosa Nostra).
Fermarono il magistrato che indagava sui magistrati corrotti e lasciarono al loro posto i magistrati collusi per non disturbare i manovratori del Sistema.
NON MI HANNO mai perdonato di aver scoperto nefandezze gravissime commesse da magistrati. Quando magistrati onesti e autonomi della Procura di Salerno, dopo mesi di indagini, scoprirono che, con i miei collaboratori, avevamo agito correttamente ed eravamo stati ostacolati dai vertici della magistratura catanzarese, in collusione con ambienti della borghesia mafiosa, furono anche loro fermati e spazzati via, sospesi o trasferiti, da una forma di colpo di Stato in salsa giudiziaria. Si inventarono la guerra tra Procure tra Catanzaro e Salerno, quando invece vi era un ufficio giudiziario che doverosamente indagava su un altro ufficio giudiziario che reagì indagando chi indagava su di loro. È come se i ladri arrestano le guardie che li stanno arrestando.
Il presidente era Napolitano che, con tutto il Csm, avallò questa operazione che ha impedito al Paese di conoscere le trame di crimini di una gravità inaudita. Quella che era la nuova P2. L ‘ associazione nazionale magistrati, che vide durante l’inchiesta Why Not che mi fu avocata, le dimissioni del suo presidente perché aveva mentito sui suoi rapporti con un indagato eccellente, era presieduta da Palamara, ora indagato per corruzione, che non esitò a dare la copertura dei vertici della magistratura associata a quella operazione scellerata. A distanza di dieci anni, molti dei protagonisti del sistema criminale che distrusse le nostre indagini sono stati indagati a vario titolo. La magistratura di Salerno, dopo dieci anni, ha accertato che le indagini Poseidone e Why Not mi furono illecitamente sottratte.
La verità su quello che stavo scoprendo non si saprà mai più per colpa soprattutto di alcuni magistrati e dell’organo di autogoverno che dovrebbe tutelare l ‘ indipendenza dei magistrati. Le funzioni di pm non mi verranno più ridate. Nel corso di questi ultimi dieci anni scandali gravissimi hanno attraversato la magistratura e da ultimo, ancora, il Csm. Sono certo che in magistratura vi sono anticorpi importanti, che i fatti criminali vengono perseguiti da magistrati onesti e coraggiosi, ma la magistratura come ordine, causa anche un crollo della tensione morale nel Paese, e in particolare il suo organo di autogoverno, hanno perso molta credibilità, dilaniati da lotte di potere interno, da correnti che scimmiottano i partiti, da collusioni con il sistema criminale della borghesia mafiosa e di una corruttela imperante.
HO AMATO LA TOGA come un figlio, e anche oggi, pur essendomi dimesso per lo schifo che ho subito, amo il lavoro dei magistrati, una missione, ed è per questo che ho il diritto-dovere di dire quello che ho denunciato quando facevo parte dell ‘ ordine giudiziario. Per evitare che ad altri magistrati accada quello che è accaduto a me e ai miei collaboratori. Se un politico è disonesto te ne liberi in cabina elettorale, se un funzionario pubblico, un appartenente alle forze di polizia, peggio ancora un magistrato, sono collusi o corrotti si incrina fortemente la tenuta democratica del Paese. La questione morale è l’emergenza democratica italiana, solo una rivoluzione culturale, una ribellione delle coscienze e il sostegno alle persone oneste che operano nello Stato determineranno l’uscita da questo baratro.