Due giorni per sensibilizzare il Governo a rivedere una manovra economia che preoccupa i cittadini e che non convince l’Unione europea, terreno di conflitto per la stessa maggioranza che ne ha cambiato più volte i connotati, generando quel clima di incertezza e di tensione istituzionale che certo non rassicura i mercati e non aiuta la ripresa.

Oggi, a Roma, si sono dati appuntamento i sindaci dell’Anci per fermare la scure di tagli che si abbatte sulle amministrazioni locali e che costringe comuni e regioni ad aumentare le tasse e le tariffe oppure a diminuire drasticamente la fornitura dei servizi indispensabili (dai trasporti alle prestazioni sanitarie).

Domani invece, in tutto il Paese, la Cgil ha indetto uno sciopero generale di otto ore per contrastare un provvedimento iniquo che scarica il peso della crisi sulle fasce deboli e sul pubblico impiego, arrivando ad aggredire anche i diritti costituzionali dei lavoratori.

Questa manovra economica non convince e soprattutto spaventa. Non convince l’Europa come non convince Confindustria, spaventa gli enti locali come spaventa il sindacato e i lavoratori. Ingiusto e confuso, il decreto legge penalizza le amministrazioni locali (il taglio dei finanziamenti, anche se rivisto al “ribasso”, resta una misura strozza comuni e regioni, privati di 4,2 miliardi di euro per il solo 2012) e fa cassa sulle spalle dei dipendenti pubblici e dei pensionati (la tassa di solidarietà è stata abolita solo per i dipendenti privati), garantendo la copertura finanziaria con una fantomatica lotta all’evasione e all’elusione fiscale che non consente di definire con certezza l’ammontare dei fondi recuperati (soprattutto in Italia, dove la fuga dal fisco è un prassi consolidata da decenni e meriterebbe una risposta strutturale decisa: quei 2,3 miliardi in 2 anni, di cui parla il ministro Tremonti, sono una stima profetica e non realistica).

Una manovra che viola Costituzione, Statuto dei lavoratori e Contratto nazionale, prevedendo la possibilità di licenziare facilmente (art.8) in deroga all’art.18 dello Statuto e delegando ai contratti aziendali/territoriali scelte in materia di organizzazione e produzione del lavoro che sono invece regolate da Contratto e Statuto, in cui fondamentale è il ruolo del sindacato a difesa del lavoratore.

Un decreto legge che non agisce sul costo della politica, come pure era stato promesso dall’esecutivo, rimandando ad un provvedimento costituzionale futuro la soppressione delle province e la riduzione del numero dei parlamentari: chissà se avverrà chissà quando.

Un provvedimento che insiste, contrariamente alla volontà espressa dai cittadini in occasione del referendum di giugno, sulla strada pericolosa e inutile della privatizzazione, prospettando un incentivo finanziario, sul fronte delle infrastrutture, a quelle amministrazioni che decidono di (s)vendere al mercato servizi e beni comuni, aprendo la strada del ricorso alla Corte Costituzionale da parte delle regioni, come ha promesso di fare il presidente Vendola – che vorrei ringraziare per questo- su sollecitazione del Comune di Napoli, in particolare del professore Alberto Lucarelli, assessore ai Beni comuni e alla democrazia partecipativa della nostra giunta ed estensore dei quesiti referendari.

Sul fronte della crescita e dello sviluppo, poi, non ci sono misure sufficienti: la manovra è depressiva, non aiuta la ripresa del mercato e del sistema industriale, essendo completamente assente ogni forma di sostegno a settori strategici come la ricerca e la formazione, in particolare in quei settori su cui investe il resto dell’Europa (dall’università alle energie rinnovabili).

Ci sono tante buone ragioni, di giustizia sociale e di politica economica, per chiedere all’esecutivo di rivedere la manovra.

Lo chiedono, del resto, i sindacati e i lavoratori, oltre che noi amministratori locali.

Lo chiede, dunque, un paese intero, che teme per il suo futuro ma che allo stesso tempo, per fortuna, non si rassegna ad aver paura e avanza proposte e misure diverse, come quelle prospettate dalla contromanovra della Cgil.

Il governo lo ascolti, il governo ci ascolti.

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