I Comuni non possono essere lasciati soli. Oggi sono a Firenze, per la XXX Assemblea annuale dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, ed è una giornata importante.
Ogni volta che incontro un mio collega sindaco, di destra o sinistra, ci scambiamo “sentimenti comuni”. Come la sensazione di essere il primo “front office” dei cittadini, poichè raccogliamo direttamente aspirazioni e denunce. Eppure, per volontà non nostra, non sempre siamo nelle condizioni di poter fare quello che dovremmo e vorremmo.
Troppi tagli si sono abbattuti negli ultimi anni da parte del governo centrale e gli enti locali soffrono in modo particolare. Gran parte della spesa sociale è in capo ai Comuni: dovremmo essere i primi ad agire perché siamo i più vicini ai cittadini, ma si è costruita attorno a noi una gabbia tecnico-economica che spinge alcuni sindaci all’inazione, stretti fra Patti di Stabilità e divieti a spendere. Personalmente, sono contro questa retorica dei vincoli che bloccano la politica: i sindaci sono eletti dal popolo per amministrare nel suo interesse, garantendone i diritti, e non sono dunque dei ragionieri costretti delle cinghie finanziarie imposte. Lo dico con rispetto per la categoria dei ragionieri ovviamente.
Ho spesso invocato principi di giustizia costituzionale per erogare servizi che non erano spese inutili da tagliare, ma beni comuni essenziali, da garantire per senso civico e morale poiché espressione dei diritti. Se avessi dovuto attenermi a una interpretazione formalistica del diritto, non avrei potuto assumere le maestre, aprire le scuole o garantire le mense. Ma la mia stella polare è la Costituzione. Ho licenziato ordinanze scegliendo di non chinare il capo di fronte ai diktat dei tecnici e il Tar e gli organi a me sovraordinati mi hanno dato ragione. Questo a dimostrazione che c’è e resiste lo spazio per la politica. Il nostro ordinamento, ancora oggi, tutela scrupolosamente la democrazia.
Ma saremmo intellettualmente disonesti se non riconoscessimo che esiste un tentativo ben orchestrato di comprimere gli spazi di decisione e dibattito: c’è infatti chi tenta di imporre il primato dei bilanci, della tecnica, della ragioneria; c’è chi cerca di svuotare la politica dall’interno, riducendo per esempio i Comuni al ruolo di gabellieri che tassano i cittadini fornendo risorse che poi lo Stato si riprende. E’ una strategia, non un caso. Una strategia per favorire un superamento tecnocratico della politica, aumentare lo scollamento fra classe dirigente e cittadini e convincere questi ultimi che gli esperti bastino e la politica sia una casta inutile e dannosa.
Contro questo sistema, il sistema dei poteri forti e di chi vuole trarre vantaggio da una burocrazia autoreferenziale, tutti noi sindaci dobbiamo combattere. E va dato atto al premier Letta di essersi impegnato per interrompere l’andazzo degli ultimi anni. La politica si costruisce dal basso, dai Comuni. C’è chi vuole bloccare i Comuni per svuotare la democrazia. Attraverso il mantra, falso, del “ce lo chiede l’Europa”. E’ una bugia. Perché l’Europa siamo noi. Ed è nostro compito costruire, tutti noi insieme, prima l’Europa dei diritti e dei beni comuni.