“Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace”. Così mi piace ricordare Don Pino Puglisi.
Nel suo impegno di maestro, intento a recuperare i bambini difficili di un quartiere colpevolmente negletto.Sono vent’anni che il coraggioso prete di Palermo è stato ucciso dalla mafia. Oggi avrebbe compiuto 56 anni. Don Pino Puglisi venne ucciso a Brancaccio, alla periferia di Palermo, il 15 settembre del 1993. Ucciso da un commando di bestie feroci, formato da Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Bestie feroci perché, come diceva don Pino, “coloro che vivono e si nutrono di violenza hanno perso la dignità umana.
Sono meno che uomini, si degradano da soli, per le loro scelte, al rango di animali”.La sua testimonianza era cristiana e civile, perché era nell’azione concreta di pastore di anime e maestro di scuola che declinava il suo impegno e la sua fede. Un’etica dell’azione che è quella che guida quei tanti che decidono di agire concretamente contro la mafia: denunciando, lottando, strappando i bambini alla barbarie mafiosa, mostrando che un altro mondo di pace e amore è possibile. Anche in quei quartieri difficili, dove i cittadini si sentono abbandonati dalle istituzioni. Don Pino è stato un vero testimone di fede e di impegno civile.
Testimone fino all’estremo sacrificio di se stesso, fino al martirio. Perché, non a caso, martire, in greco, vuol dire testimone. Nella nostra dolente Italia, troppe volte chi ha voluto testimoniare la giustizia è stato lasciato solo, ed è diventato un martire. L’esempio di don Pino come dei tanti che in Sicilia, e non solo, sono caduti contro la mafia, è affinché chi vive di giustizia e amore, in certi contesti difficili, non debba diventare un martire o un eroe. Affinché scegliere l’amore non sia un gesto straordinario, ma ordinario.
Nella stupenda canzone “Pride”, scritta dagli U2 per Martin Luther King, il cantante, Bono, spiega come chi viene “nel nome dell’amore” rischia di rimanere solo, di perdere la vita. Ma nessuno potrà mai strappargli via la forza delle sue parole, della sua dignità. Dignità che è l’esempio che ci resta e che abbiamo il dovere di conservare nella memoria per costruire un mondo migliore.