Questo è il paese che ha visto la P2 allungare le mani sul Corriere della Sera. Questo è il paese che vede un conflitto di interessi unico in Europa: un presidente del Consiglio che aspira a controllare il servizio pubblico di informazione – non bastandogli la proprietà di tv, giornali e settimanali – a causa delle sue compromissioni giudiziarie. Manipolare la comunicazione nazionale, perfino pubblica, come fosse uno strumento per il proprio marketing politico, anzi per la propria difesa giudiziaria a mezzo mediatico.
La negazione della libertà di informazione, che fonda la democrazia, e che rende l’Italia un’anomalia preoccupante. C’è dunque una tendenza storica pericolosa nel paese riguardo al rapporto fra potere e informazione, da sempre ambiguo ed opaco mai di vera e compiuta indipendenza. In questo solco si inserisce il più moderno berlusconismo e il suo conflitto di interessi, che non risparmia l’informazione pubblica regionale, come dimostrano le recenti intercettazioni fra Lavitola e l’ex dg Rai Masi. Intercettazioni che se da un lato chiamano in causa Berlusconi, dall’altro non assolvono il sistema politico in generale, compreso quello locale.
Appare infatti evidente la volontà di controllare l’informazione pubblica regionale da parte dei potentati politici del territorio, magari in passaggi chiave come le elezioni amministrative, portando a convergenza anche storici “antagonisti” politici (un direttore del TgR può servire diversi padroni, accomunati dallo stesso desiderio di asservimento dell’informazione). Intercettazioni, poi, che se interrogano la politica denunciandone l’ingerenza, al contempo pongono domande anche a tutto il servizio pubblico di informazione. Ci sono infatti giornalisti che, citando Calamandrei in riferimento ai magistrati, soffrono di agorafobia: si autocensurano prima di essere censurati, piegano la schiena preventivamente prima che il potere gli imponga di piegarla.
La giustizia farà il suo corso, mentre la Commissione di Vigilanza e la Dirigenza Rai dovranno contribuire a chiarire e a capire, proprio a difesa della realtà sana dell’azienda, ma resta a premere l’annoso problema: come garantire l’autonomia al servizio pubblico di informazione rispetto ad una politica che tenta da sempre di cannibalizzarlo. La Rai deve essere liberata dal giogo della politica, pensando per esempio a Cda composti esclusivamente da intellettuali ed esperti del settore su nomina parlamentare. Pensando a rispettare nell’azienda criteri di merito e capacità, non di servilismo e lobbismo: vanno sostenuti tutti quei giornalisti che hanno scelto l’autonomia, non facendosi intimidire e non facendosi comprare dalla casta e dalle lobby. Perchè esistono, anzi resistono. La libertà di informazione, che prevede anche quella di critica soprattutto verso il potere, è per me un valore imprescindibile, come dimostra la mia storia personale.
Nella mia vita non ho mai avuto paura del dissenso, agito o subito che fosse, così come amo il confronto critico fra diverse visioni e diversi soggetti, perchè convinto che non esistono verità assolute e profeti, certezze universali e uomini della salvezza che da soli, fanaticamente, traghettano la moltitudine fuori dalle secche del deserto politico, morale, etico. Lo dico proprio oggi, dopo una querelle per me inesistente – con il Corriere del Mezzogiorno, che non ho mai inteso attaccare in quanto giornale, rispettando il lavoro dei suoi redattori.
Semplicemente ho risposto ad una serie di editoriali che il suo direttore Demarco da mesi scrive concentrandosi polemicamente non tanto sul mio operato di amministratore, quanto proprio sulla mia persona, non risparmiando toni virulenti e spesso offensivi. Se difendo la libertà di informazione e quindi di critica verso il potere, che fonda il mio dna di democratico e liberale, allo stesso tempo credo sia giusto che mi sia riconosciuta la medesima possibilità. Fa parte del diritto alla critica e al dissenso, è il sale della democrazia.