Apriamo le istituzioni ai cittadini, rendiamo il patrimonio pubblico veramente un bene comune.
Oggi, sembra solo che si parli di vendere o svendere il patrimonio pubblico, acquistato da tutti noi con le nostre tasse. Bisogna invertire questa narrazione. Per me, valorizzare il patrimonio pubblico non significa trasformarlo in rendita privata.
Il patrimonio del Comune di Napoli, il patrimonio dei cittadini napoletani, deve essere socializzato, reso agibile, deve essere messo a disposizione di chi sul territorio è in grado di dare senso ai luoghi e aprirli. Questa la missione che ci eravamo dati in campagna elettorale. Questa la missione che ha incontrato maggiori difficoltà: il patrimonio è purtroppo considerato dal governo centrale come la principale ipoteca affinché il Comune rientri dal pre-dissesto. Utile ribadirlo, da un pre-dissesto alimentato dalla voracità di chi ci ha preceduto.
Una dinamica che vede l’istituzione abbagliata dalla logica del fatturato economico ma cieca alle necessità di vivibilità e al fatturato sociale. Eppure, in tempo di crisi, gli enti non sono più capaci di investire in tutti i servizi di cui la comunità necessita; quindi tocca alla comunità stessa, alla società tutta, dare senso a luoghi e spazi. Con fatica, con enorme fatica, stiamo invertendo la rotta.
A Materdei, il comitato di quartiere aprirà ufficialmente un giardino, dopo un lavoro che ha visto partecipe anche la scuola.
A Scampia, finalmente, “Chi Rom e chi no” ha un luogo dove fondare un progetto imprenditoriale che vede insieme donne napoletane e donne rom. Sono ancora tante, troppe, le belle storie di chi è in attesa di uno spazio dove vedere riconosciuto e agevolato il lavoro che già svolge da anni. Queste esperienze, queste storie sono tra le priorità del nostro Comune. Perché queste esperienze rappresentano la comunità, la società di Napoli.
Da loro bisogna ripartire in tempo di crisi.