Il tunnel della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, che si vorrebbe costruire in Val di Susa, è un progetto di “grande opera” assolutamente inutile, costoso, dannoso per l’ambiente ed offensivo per la democrazia, una democrazia intesa come partecipazione viva delle cittadine e dei cittadini al governo del proprio territorio. E’ un progetto vecchio che si vorrebbe far passare per moderno, ma che in realtà risulta superato dal punto di vista trasportistico, ambientale, finanziario. Un progetto che divorerà 20 miliardi di euro di denaro pubblico: cifra, questa, destinata a lievitare.Un progetto inutile perchè non si giustifica rispetto alla domanda di trasporto merci, essendosi dimezzato in questi ultimi anni il traffico delle stesse, ed essendo attualmente sottoutilizzata la linea storica di recente ammodernata.
Un progetto costoso e dal piano finanziario piuttosto incerto e vago, che rischierebbe inoltre di avere un ritorno economico tutt’altro che compensativo degli investimenti richiesti.C’è da riflettere poi su un ulteriore aspetto: in tempo di crisi economica, con il debito pubblico italiano a tali livelli, il tunnel della Val di Susa diventa soltanto un aggravio per le casse dello Stato.
Meglio pensare ad investire il capitale pubblico in altri settori e magari in piccole opere utili, meglio pensare ad una uscita dalla crisi per mezzo di politiche ambientali alternative, che siano espressione del superamento del capitalismo globale che questa stessa crisi ha provocato.Un progetto dannoso per l’ambiente non solo perchè andrebbe ad alterare la conformazione naturale (preziosa e bellissima) della Val di Susa, ma anche per i consumi ed i costi energetici causati dalle infrastrutture da realizzare e, in seguito, dalla corsa degli stessi treni.Un progetto offensivo della democrazia declinata come diritto delle comunità locali a decidere in merito ad opere che impattano sulla loro qualità di vita, stravolgendola.
Da anni il movimento dei No tav, che riunisce una comunità intera intorno al concetto della difesa del territorio e dei propri diritti, è stato ridotto al silenzio: per anni sono state offuscate le sue obiezioni e le sue critiche, circostanziate da studi e approfondimenti tecnico-scientifici che sono “prodotti” tipici delle comunità locali.Accade infatti che le cittadine e i cittadini di un territorio, quando sono chiamati a battaglie di “resistenza democratica” di questo genere, siano costretti e stimolati all’aggiornamento e alla conoscenza dettagliata, un aggiornamento e una conoscenza che divengono uno strumento legittimo di difesa e un arma per la battaglia stessa.
Una sorta di “non prendeteci in giro, perchè noi sappiamo”, tanto per sintetizzare il concetto.Non è un buon segnale, inoltre, l’applicazione della sorveglianza militare ai cantieri, che testimonia un rischio inaccettabile per uno stato democratico: la criminalizzazione del dissenso e del movimento per via giudiziaria, la volontà di trasformare un confronto politico in conflitto muscolare fra Stato, governo e cittadine e cittadini.Un rischio che coinvolge tutto il paese perchè riguarda tutti i movimenti nati a difesa del territorio come bene comune: dal No dal Molin passando all’opposizione verso le discariche per finire al rifiuto del ponte sullo Stretto.
I movimenti non si arrestano perchè non si criminalizzano. Si ascoltano e soprattutto si consultano.Senza condivisione, non si procede. Si chiama democrazia, si chiama difesa del proprio territorio e dei propri diritti, si chiama battaglia per i beni comuni di cui, del resto, i movimenti sono stati pionieri in tutto il Paese, creando una nozione e un concetto sulla base della loro pratica e azione.
Per questo oggi mi sento con il cuore in Val di Susa!
Per questo spero che il governo Monti rivaluti il progetto.