“Indignatevi!” del partigiano francese Stéphane Hessel.

Ma anche “Indignarsi non basta” del nostro Pietro Ingrao.

Contestare un modello di sviluppo ingiusto e fallimentare, come dimostra la crisi attuale, ma anche saper trasformare questa contestazione in mobilitazione civile, senza delegare a “terzi” (governi, Bce, Fmi, banche) l’impegno per la realizzazione di un modello sociale fondato sulla giustizia, l’uguaglianza e la sostenibilità ambientale. Perché l’obiettivo degli essere umani, come insegnano i greci antichi, è conseguire quella felicità che non è solo dimensione privata e individuale, ma condizione pubblica e collettiva, dunque legata alla politica e al governare.

Questo modello sociale e di sviluppo alternativi possono nascere dal tramonto del neoliberismo, responsabile dell’ “infelicità” che da tempo stiamo sperimentando anche in Europa.

E’ per questo che la crisi va colta come chance. Forse l’ultima. Un modello sociale e di sviluppo alternativi a quelli imposti, in Italia, dalla manovra economica approvata dal Governo, a cui ci sollecitano i cittadini e i lavoratori che hanno partecipato allo sciopero della Cgil e che, oltre i confini nazionali, trovano corrispondenza negli indignados della Spagna, per citare solo un esempio.

La crisi in atto, infatti, impone a tutta l’Europa un ripensamento del cammino economico fin qui percorso, indicando la rotta nel superamento dell’idea che alla sola finanza possa essere affidato lo scettro del governo dell’economia; che il benessere di un paese possa essere indicato esclusivamente dall’andamento del Pil; che il mercato si debba autoregolare costringendo lo Stato a compiere un passo indietro; che il welfare sia una zavorra e la privatizzazione sia l’unica ricetta; che la crescita sia un must da perseguire senza limitazioni. Sono infatti questi principi che ci conducono oggi nel vicolo cieco economico mondiale; sono questi principi che, ostinatamente, il Governo delle destre ancora ripropone. Era possibile un’altra manovra finanziaria che rispondesse ai canoni di giustizia, eguaglianza e sostenibilità ambientale.

Era possibile applicare -solo per avanzare qualche proposta- l’aliquota Iva ai capitali rientrati grazie all’ultimo scudo fiscale, consentendo di recuperare allo Stato circa 20 miliardi di gettito; introdurre una tassazione delle grandi rendite e dei grandi patrimoni, da accompagnare ad un contrasto strutturale all’evasione fiscale e ai costi della politica; attuare una diminuzione delle spese militari, soprattutto in contesti in cui non esiste una strategia diplomatica e il ruolo delle nostre forze armate appare “misterioso”.

Era possibile evitare di scaricare la manovra sui redditi da lavoro (in particolare del pubblico impiego), approfittando della crisi per sferzare un colpo violento ai diritti dei lavoratori, come accade con l’art.8. Derogare alla Costituzione, al Contratto nazionale e allo Statuto, per affidare il licenziamento alla contrattazione aziendale, significa infatti distruggere l’art. 1 e il ruolo del sindacato. Era possibile evitare che a pagare fossero i cittadini e il welfare: tagliare agli enti locali vuol dire costringere comuni, province e regioni ad aumentare tasse e tariffe oppure ad azzerare i servizi. Non qualcosa di velleitario, non un lusso.

Trasporti, sanità e istruzione cadranno sotto il fuoco “amico” di una manovra antidemocratica, che colpisce due volte le donne penalizzandole nella previdenza ma anche nella gestione del rapporto lavoro/cura domestica, poiché viene meno il sistema sociale che dovrebbe aiutarle.

Era possibile rispettare la volontà dei cittadini che nel referendum hanno espresso contrarietà alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi essenziali, cioè gli stessi che la manovra consente siano venduti a privati (mediante la messa sul mercato delle società partecipate che li gestiscono) in cambio di un incentivo economico.

 Per tutte queste ragioni sottoscrivo l’appello per la manifestazione del 15 ottobre, giornata internazionale di “United for global change”.

Lo sottoscrivo in quanto sindaco di Napoli, difficile capitale del Sud penalizzata da questa manovra (e dalle altre precedenti di luglio e agosto) per circa 220 milioni di tagli per il solo 2012. Lo sottoscrivo con la convinzione che si debba organizzare una mobilitazione tanto nazionale quanto locale, perché la resistenza dei territori resta preziosa e determinante.

“Un altro mondo è possibile” ed esiste tutta la nostra determinazione per realizzarlo. Anche se forse a “qualcuno” questa determinazione non piace, solo perché teme il cambiamento. Forse a “qualcuno” non piace perché considera la felicità un privilegio intimo per pochi, mentre per noi è un diritto collettivo di tutti. Sapendo che non c’è liberazione spirituale, senza quella materiale. Come insegnava un antico maestro di Treviri.

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